MONTE LIMBARA
NOTE SUGLI ASPETTI NATURALISTICI DEL MONTE LIMBARA di Alessandro Ruggero
Il massiccio montuoso del Limbara con i 1359 m di Punta Balistreri è la montagna granitica più elevata della Sardegna e in generale la terza per altezza dopo il Gennargentu e i Supramontes.
Dal punto di vista paesaggistico offre la possibilità di vedere tutte le forme tipiche del paesaggio granitico, dalle guglie, pinnacoli e pietre ballerine della parte più elevata e giovane della montagna, fino alle rocce alveolate e tafoni della porzione periferica, più antica. Il granito caratterizza fortemente la montagna rendendo il panorama mutevole e polimorfo.
La vegetazione è estremamente varia a causa delle vicissitudini storiche del massiccio montuoso, infatti in passato, con tutta probabilità, essa era ricoperta da una immensa ed unica lecceta, con l’eccezione delle garighe della parte più elevata e delle macchie delle zone più rocciose.
Oggi le leccete a fustaia, sfuggite agli incendi e all’ascia dei carbonai, sono rarissime, sostituite da splendidi cedui a Leccio e da formazioni a macchia-foresta dominati dal Corbezzolo, dalle Filliree e dall’Erica arborea; le lande cacuminali sono ricoperte dalla gariga a Timo (Thymus herba-barona) e Ginestra di Salzmann (Genista salzmannii) o da estesi ericeti, mentre le aree che in passato erano state maggiormente deturpate dalla furia dell’Uomo, sono oggi ricoperte da boschi artificiali a Conifere di varia tipologia, al di sotto delle quali spesso il sottobosco naturale comincia a prendere il sopravento. Tra le rocce e presso i numerosi torrenti si possono osservare forme di vegetazione estremamente specializzate, spesso ricche di endemismi.
Di estremo interesse è la flora, che conta oltre 1000 specie, quindi appena meno della metà delle entità presenti in Sardegna e circa un sesto delle specie italiane; circa 80 entità sono endemismi, alcuni dei quali esclusivi della montagna, come lo Hieracium limbarae, lo Hieracium martellianum e il Rubus limbarae, e diverse specie presentano un notevole interesse scientifico e fitogeografico, in quanto pur diffuse nella Penisola, trovano rifugio nell’Isola solo sul Limbara: tra queste la Daphne laureola e l’Ajuga reptans.
Non meno importante è il contingente di “piante inferiori” che annovera circa 197 specie di Bryophyta (Muschi ed Epatiche), ancora una volta con alcune entità esclusive per la Sardegna, come diverse specie appartenenti al genere Sphagnum, una vera e propria rarità nel clima solitamente arido della nostra Isola.
E se la montagna e le sue sugherete basali sono famose in tutta la Sardegna per le copiose raccolte di Boleti e Ovoli, non del tutto conosciuto è il suo enorme patrimonio micologico, che ad oggi conta oltre 500 specie censite, ma il cui numero ogni anno cresce con la scoperta di entità mai trovate prima in Sardegna e in taluni casi anche con specie nuove per la scienza; l’elenco delle entità rare e di notevole valore scientifico è copioso e per questo motivo ogni anno la montagna è percorsa da micologi provenienti da tutto il Mondo.
Ugualmente ricca ed interessante è la fauna. Un tempo vivevano sulla montagna sia il Cervo sardo, sia il Muflone, estinti agli inizi del secolo scorso, anche se di recente Forestas ha avviato un progetto di reintroduzione del Muflone, attraverso la creazione di un “Centro Faunistico di Educazione Ambientale e Riproduzione del Muflone” e successivamente con la liberazione di un piccolo branco sulla montagna. Oggi comunque è il Cinghiale che la fa da padrone, anche se non mancano Mammiferi rari come la Martora e il Gatto selvatico, mentre un piccolo branco di Daini vive nei recessi più isolati del versante berchiddese del massiccio montuoso. L’avifauna invece conta circa 50 specie stabili e almeno una ventina di entità che vivono sulla montagna in determinati periodi dell’anno o vi passano saltuariamente durante i passi, anche qui con alcune specie di notevole interesse, come l’Aquila reale, il Falco pellegrino o il piccolo Culbianco. Ma è sicuramente l’erpetofauna quella che offre le specie più interessanti, come il Tritone sardo, che vive nelle limpide acque di alcuni torrenti con la Natrice viperina, suo naturale predatore, o come la tozza e scura Lucertola del Bedriaga, endemismo sardo-corso.
Dal punto di vista paesaggistico offre la possibilità di vedere tutte le forme tipiche del paesaggio granitico, dalle guglie, pinnacoli e pietre ballerine della parte più elevata e giovane della montagna, fino alle rocce alveolate e tafoni della porzione periferica, più antica. Il granito caratterizza fortemente la montagna rendendo il panorama mutevole e polimorfo.
La vegetazione è estremamente varia a causa delle vicissitudini storiche del massiccio montuoso, infatti in passato, con tutta probabilità, essa era ricoperta da una immensa ed unica lecceta, con l’eccezione delle garighe della parte più elevata e delle macchie delle zone più rocciose.
Oggi le leccete a fustaia, sfuggite agli incendi e all’ascia dei carbonai, sono rarissime, sostituite da splendidi cedui a Leccio e da formazioni a macchia-foresta dominati dal Corbezzolo, dalle Filliree e dall’Erica arborea; le lande cacuminali sono ricoperte dalla gariga a Timo (Thymus herba-barona) e Ginestra di Salzmann (Genista salzmannii) o da estesi ericeti, mentre le aree che in passato erano state maggiormente deturpate dalla furia dell’Uomo, sono oggi ricoperte da boschi artificiali a Conifere di varia tipologia, al di sotto delle quali spesso il sottobosco naturale comincia a prendere il sopravento. Tra le rocce e presso i numerosi torrenti si possono osservare forme di vegetazione estremamente specializzate, spesso ricche di endemismi.
Di estremo interesse è la flora, che conta oltre 1000 specie, quindi appena meno della metà delle entità presenti in Sardegna e circa un sesto delle specie italiane; circa 80 entità sono endemismi, alcuni dei quali esclusivi della montagna, come lo Hieracium limbarae, lo Hieracium martellianum e il Rubus limbarae, e diverse specie presentano un notevole interesse scientifico e fitogeografico, in quanto pur diffuse nella Penisola, trovano rifugio nell’Isola solo sul Limbara: tra queste la Daphne laureola e l’Ajuga reptans.
Non meno importante è il contingente di “piante inferiori” che annovera circa 197 specie di Bryophyta (Muschi ed Epatiche), ancora una volta con alcune entità esclusive per la Sardegna, come diverse specie appartenenti al genere Sphagnum, una vera e propria rarità nel clima solitamente arido della nostra Isola.
E se la montagna e le sue sugherete basali sono famose in tutta la Sardegna per le copiose raccolte di Boleti e Ovoli, non del tutto conosciuto è il suo enorme patrimonio micologico, che ad oggi conta oltre 500 specie censite, ma il cui numero ogni anno cresce con la scoperta di entità mai trovate prima in Sardegna e in taluni casi anche con specie nuove per la scienza; l’elenco delle entità rare e di notevole valore scientifico è copioso e per questo motivo ogni anno la montagna è percorsa da micologi provenienti da tutto il Mondo.
Ugualmente ricca ed interessante è la fauna. Un tempo vivevano sulla montagna sia il Cervo sardo, sia il Muflone, estinti agli inizi del secolo scorso, anche se di recente Forestas ha avviato un progetto di reintroduzione del Muflone, attraverso la creazione di un “Centro Faunistico di Educazione Ambientale e Riproduzione del Muflone” e successivamente con la liberazione di un piccolo branco sulla montagna. Oggi comunque è il Cinghiale che la fa da padrone, anche se non mancano Mammiferi rari come la Martora e il Gatto selvatico, mentre un piccolo branco di Daini vive nei recessi più isolati del versante berchiddese del massiccio montuoso. L’avifauna invece conta circa 50 specie stabili e almeno una ventina di entità che vivono sulla montagna in determinati periodi dell’anno o vi passano saltuariamente durante i passi, anche qui con alcune specie di notevole interesse, come l’Aquila reale, il Falco pellegrino o il piccolo Culbianco. Ma è sicuramente l’erpetofauna quella che offre le specie più interessanti, come il Tritone sardo, che vive nelle limpide acque di alcuni torrenti con la Natrice viperina, suo naturale predatore, o come la tozza e scura Lucertola del Bedriaga, endemismo sardo-corso.
SENTIERI
Giacomo Calvia nella sua “Guida al Monte Limbara” descrive gli oltre 200 km di sentieri, piste e strade che attraversano la montagna in tutte le sue parti; i sentieri, in genere derivanti dall’antica attività dei carbonai, sono oggi utilizzati da cacciatori, escursionisti e cercatori di funghi; alcuni percorsi sono sempre stati ben evidenti e percorribili, altri invece sono semplici tracce tra la vegetazione o intuibili vie tra le rocce, talora evidenziati con “omini di pietra”.
Di recente Forestas, soprattutto nel versante settentrionale della montagna, ha reso fruibili, con periodica manutenzione e apposizione di cartelli e indicazioni, quei sentieri che portano nelle località più conosciute e/o suggestive.
In breve, la rete sentieristica di Forestas del versante settentrionale del Limbara è così composta:
LOCALITA’
La bellezza del Limbara sta nei suoi mutevoli paesaggi, nella sua Natura ricca di biodiversità, nei silenzi delle sue vallate più remote, nella limpidezza delle sue abbondanti acque, per cui è difficile indicare delle località particolari. Il modo migliore per godersi una visita sul Limbara è quello di inforcare un paio di scarpe da trekking e percorrerne i sentieri o almeno qualche sterrata.
Se invece si avesse poco tempo ed in macchina si volesse raggiungere qualche località caratteristica, si potrebbero visitare i seguenti luoghi:
Di recente Forestas, soprattutto nel versante settentrionale della montagna, ha reso fruibili, con periodica manutenzione e apposizione di cartelli e indicazioni, quei sentieri che portano nelle località più conosciute e/o suggestive.
In breve, la rete sentieristica di Forestas del versante settentrionale del Limbara è così composta:
- un sentiero porta da Curadureddu, posto nella parte bassa del Limbara, in comune di Tempio P., verso Vallicciola, biforcandosi a metà del percorso;
- un doppio sentiero porta da Vallicciola verso le Cime del Limbara, alla Madonna della Neve, attraverso due differenti percorsi, che uniti formano un circuito ad anello;
- sempre partendo da Vallicciola, ed in parte percorrendo il sentiero che porta verso P.ta Bandera si può anche raggiungere il versante calangianese della montagna, in località Li Conchi;
- un ulteriore gruppo di sentieri parte dalla località Funtana di li Frati, per raggiungere la Conca di La Prisgjona, Lu Salpenti e quindi la parte più elevata della montagna, innestandosi nei percorsi precedenti.
LOCALITA’
La bellezza del Limbara sta nei suoi mutevoli paesaggi, nella sua Natura ricca di biodiversità, nei silenzi delle sue vallate più remote, nella limpidezza delle sue abbondanti acque, per cui è difficile indicare delle località particolari. Il modo migliore per godersi una visita sul Limbara è quello di inforcare un paio di scarpe da trekking e percorrerne i sentieri o almeno qualche sterrata.
Se invece si avesse poco tempo ed in macchina si volesse raggiungere qualche località caratteristica, si potrebbero visitare i seguenti luoghi:
- Curadureddu e Riu Pisciaroni: posta sulla SP 392 e ben identificabile grazie alla statua della Madonna della Neve che si affaccia sul piazzale, la località offre un’area picnic, un piccolo arboreto, creato dagli alunni delle scuole elementari di Tempio Pausania, e, in futuro, un Centro di Educazione Ambientale; da qui parte il sentiero che porta in alto, verso Vallicciola, ma percorrendone la prima parte è possibile raggiungere “Li Pischini” di Riu Pisciaroni, una serie di placide pozze, animate da piccole cascate e circondate dalla vegetazione, presso le quali, in estate, è possibile fare il bagno.
- Vallicciola: sulla SP 392, a circa 7 km da Tempio P., un bivio porta con circa 5 km di tornanti nella nota località montana, dove ogni anno, il giorno di ferragosto si tiene la Festa della Montagna. Il luogo può essere il punto di partenza per lunghe o brevi passeggiate e accoglie un bel bosco (l’arboreto del Pavari) costituito soprattutto da essenze arboree di origine nordamericana, tra le quali si distinguono magnifici esemplari di Sequoia gigante (Sequoiadendron giganteum). Nella località è presente anche una fontana.
- Cime Limbara e Madonna della Neve: sulla stessa strada di sopra, superata Vallicciola, altri 5 km ci portano sulla vetta della montagna, dove piccoli sentieri permettono di raggiungere suggestivi punti panoramici con vedute, sul lato settentrionale, su tutta la Gallura e fino alle cime più elevate dell’antistante Corsica, e, sul lato meridionale, sui vicini monti di Alà e più in fondo su Monte Albo, sul Supramonte e, nelle belle giornate invernali, fino alle vette innevate del Gennargentu. Sulla stessa strada, poco prima di raggiungere l’area cacuminale, un piazzale permette di posteggiare la macchina per raggiungere la statua e, all’interno del bosco, la chiesa della Madonna della Neve, da cui una facile passeggiata porta a raggiungere la vetta di Giogantinu.
- Li Conchi e Fonte Crispoli: le due località, in comune di Calangianus, possono essere raggiunte dalla strada che collega la zona industriale di Tempio P. alla SP 392, dove in località Milizzana, presso la fonte di Li Tre Funtani, si stacca una strada sterrata che si inerpica sulla montagna; si intersecano diverse strade e si oltrepassano diverse località, ma i cartelli apposti da Forestas indicano la giusta direzione. La fonte di Crispoli è una delle fonti più alte del Limbara e sicuramente quella con le acque più fredde; da essa si può godere di uno stupendo panorama su buona parte della Gallura. Li Conchi invece, posti poco più in basso sotto l’imponente mole di Monti Biancu, sono dei tafoni che col tempo sono stati murati ed adibiti ad abitazione estiva, sia da parte dei pastori di Telti, che in antichità praticavano la transumanza, sia da alcune famiglie di Calangianus.
- Lago Coghinas: percorrendo la SP 392 che da Tempio P. porta ad Oschiri, in prossimità di quest’ultimo, si raggiunge il Lago Coghinas, lungo le cui rive si possono fare bellissime passeggiate; luogo consigliato ai birdwatcher che, soprattutto nel periodo di svernamento, possono osservare migliaia di uccelli acquatici posati sulle tranquille acque lacustri, mentre i prati circostanti ospitano una popolazione della rara Gallina Prataiola.
- Giardino delle farfalle: si trova all’interno della Foresta Demaniale “Limbara Sud”, in comune di Berchidda, ed è raggiungibile percorrendo dall’abitato di Berchidda la stretta strada che conduce a Vallicciola; dopo circa 3 km si arriva al cancello della Foresta Demaniale dal quale, in breve e tramite una strada sterrata, si raggiunge il “Giardino delle Farfalle”: un’area nella quale sono state piantate diverse essenze vegetali particolarmente gradite ai Lepidotteri, che vi giungono copiose dalla primavera fino all’autunno e nella quale diversi pannelli didattici offrono le opportune informazioni su questi preziosi insetti.
LIMBARA
ARCHEOLOGIA
di Giacomo Calvia
L'area del Limbara è piuttosto ricca di resti archeologici, soprattutto lungo tutte le sue zone di confine. Prime testimonianze di presenza umana si attestano nei complessi megalitici e ipogeici dei settori orientale e meridionale, dove spiccano i dolmen di Monte Acuto, Abialzos, Santa Catarina e Sant'Andrea (Berchidda) e le domus de janas di San Salvatore di Nulvara (Berchidda), Su Canaleddu e Marinispa (Oschiri).
Prove materiali ci informano sull'utilizzo sin dalla preistoria dei numerosi tafoni come ripari sotto roccia.
I siti di Li Conchi, La Conca di La Prisgjona, Lu Pagghjolu, La Conca di Li Banditi, tra i tanti compresi soprattutto nei comuni di Tempio e Calangianus, furono sfruttati sin dal neolitico, per poi vedere il protrarsi di tale occupazione fino a pochi decenni orsono.
Per quanto concerne l'età nuragica, importanti poli abitativi si riconoscono nell'altopiano di Balascia (Tempio, Oschiri); nella piana di Tempio (Nuraghi Budas e Tanca Manna, tra gli altri); a San Michele e Monte Acuto a Berchidda. Ma è soprattutto nel ricchissimo complesso archeologico di Monti di Deu (Calangianus) che noi troviamo l'apice architettonico e insediativo della zona. Il nuraghe Agnu, di tecnica mista, con corridoio-scalinata che conduceva a un piano superiore oggi rovinato, è dotato di piccola camera voltata a pseudotholos, presso l'ingresso; la muraglia megalitica che cinge l'intera sommità del colle, ingloba e fa sua ogni propaggine granitica emergente dal suolo; l'omonimo nuraghe M. di Deu, con impianto a tholos ancora oggi ben leggibile tra le macerie e il bosco vetusto che lo ha in parte inglobato; il nuraghe Bonvicinu, appartenente con buona probabilità alla categoria dei nuraghi a corridoio; la piccola fonte nuragica di Li Paladini, costruita su una sorgente oggi immersa in un fitto bosco di querce; e infine la meravigliosa e quasi intatta tomba di giganti di Pascaredda. Per le loro caratteristiche e la posizione, questi monumenti impreziosiscono un'area già piuttosto ricca di bellezze naturali.
All'epoca romana afferiscono con certezza le poche tracce della strada romana che collegava Olbia col Castrum Luguidonis (Nostra Signora di Castro, Oschiri) e da lì con Caralis (Cagliari) e Turris Lybisonis (Porto Torres). Questa strada doveva passare ai piedi del Limbara, in territorio di Berchidda, per poi inoltrarsi verso l'odierno territorio di Telti e giungere a Olbia. Dalla località di Erria Noa, poco distante da Monte Acuto, provenne un miliario riportante la distanza di 34 miglia da Olbia, unico caso noto di questo tipo, dal momento che normalmente i miliari indicavano la distanza da Cagliari.
Un importante tesoretto di monete repubblicane fu rinvenuto nel 1918 in loc. Sa Contrizola, a Berchidda: 1399 sesterzi contenuti in un grande vaso e sepolti in un campo. Il più antico databile al 268 a.C. e il più recente all'82 a.C. (Q. Ant. Balb.).
Ma l'elemento di maggior rilievo è riscontrabile nel cosiddetto "cippo dei Balari", un grosso blocco naturale di granito, posto sulla sponda sinistra del Rio Iscorraboes, ai confini tra Berchidda e Monti, che delimitava il limite territoriale per il territorio della città di Olbia e quello della popolazione dei Balari, per secoli uno dei popoli più ostili alla conquista della Sardegna da parte di Roma.
Per quanto riguarda, invece, i ruderi romani di cui si trova menzione nelle carte topografiche dell'IGM, già presenti su carte dei primi del '900, questi sono più probabilmente relativi a un insediamento abitativo pastorale occorso in quella zona più probabilmente nel tardo medioevo, ma difficilmente ascrivibile all'età romana, così come la strada selciata che ivi conduce da ovest e che è ben leggibile per alcune centinaia di metri.
Al periodo medievale si aggiungono certamente i ruderi dell'ardito castello di Monte Acuto, a Berchidda, e le varie chiese campestri presenti nei territori limitrofi al monte (San Leonardo, San Salvatore, Santa Caterina, Sant'Andrea, Le Grazie).
Prove materiali ci informano sull'utilizzo sin dalla preistoria dei numerosi tafoni come ripari sotto roccia.
I siti di Li Conchi, La Conca di La Prisgjona, Lu Pagghjolu, La Conca di Li Banditi, tra i tanti compresi soprattutto nei comuni di Tempio e Calangianus, furono sfruttati sin dal neolitico, per poi vedere il protrarsi di tale occupazione fino a pochi decenni orsono.
Per quanto concerne l'età nuragica, importanti poli abitativi si riconoscono nell'altopiano di Balascia (Tempio, Oschiri); nella piana di Tempio (Nuraghi Budas e Tanca Manna, tra gli altri); a San Michele e Monte Acuto a Berchidda. Ma è soprattutto nel ricchissimo complesso archeologico di Monti di Deu (Calangianus) che noi troviamo l'apice architettonico e insediativo della zona. Il nuraghe Agnu, di tecnica mista, con corridoio-scalinata che conduceva a un piano superiore oggi rovinato, è dotato di piccola camera voltata a pseudotholos, presso l'ingresso; la muraglia megalitica che cinge l'intera sommità del colle, ingloba e fa sua ogni propaggine granitica emergente dal suolo; l'omonimo nuraghe M. di Deu, con impianto a tholos ancora oggi ben leggibile tra le macerie e il bosco vetusto che lo ha in parte inglobato; il nuraghe Bonvicinu, appartenente con buona probabilità alla categoria dei nuraghi a corridoio; la piccola fonte nuragica di Li Paladini, costruita su una sorgente oggi immersa in un fitto bosco di querce; e infine la meravigliosa e quasi intatta tomba di giganti di Pascaredda. Per le loro caratteristiche e la posizione, questi monumenti impreziosiscono un'area già piuttosto ricca di bellezze naturali.
All'epoca romana afferiscono con certezza le poche tracce della strada romana che collegava Olbia col Castrum Luguidonis (Nostra Signora di Castro, Oschiri) e da lì con Caralis (Cagliari) e Turris Lybisonis (Porto Torres). Questa strada doveva passare ai piedi del Limbara, in territorio di Berchidda, per poi inoltrarsi verso l'odierno territorio di Telti e giungere a Olbia. Dalla località di Erria Noa, poco distante da Monte Acuto, provenne un miliario riportante la distanza di 34 miglia da Olbia, unico caso noto di questo tipo, dal momento che normalmente i miliari indicavano la distanza da Cagliari.
Un importante tesoretto di monete repubblicane fu rinvenuto nel 1918 in loc. Sa Contrizola, a Berchidda: 1399 sesterzi contenuti in un grande vaso e sepolti in un campo. Il più antico databile al 268 a.C. e il più recente all'82 a.C. (Q. Ant. Balb.).
Ma l'elemento di maggior rilievo è riscontrabile nel cosiddetto "cippo dei Balari", un grosso blocco naturale di granito, posto sulla sponda sinistra del Rio Iscorraboes, ai confini tra Berchidda e Monti, che delimitava il limite territoriale per il territorio della città di Olbia e quello della popolazione dei Balari, per secoli uno dei popoli più ostili alla conquista della Sardegna da parte di Roma.
Per quanto riguarda, invece, i ruderi romani di cui si trova menzione nelle carte topografiche dell'IGM, già presenti su carte dei primi del '900, questi sono più probabilmente relativi a un insediamento abitativo pastorale occorso in quella zona più probabilmente nel tardo medioevo, ma difficilmente ascrivibile all'età romana, così come la strada selciata che ivi conduce da ovest e che è ben leggibile per alcune centinaia di metri.
Al periodo medievale si aggiungono certamente i ruderi dell'ardito castello di Monte Acuto, a Berchidda, e le varie chiese campestri presenti nei territori limitrofi al monte (San Leonardo, San Salvatore, Santa Caterina, Sant'Andrea, Le Grazie).
Testi realizzati per Gallura da Valorizzare da Alessandro Ruggero e Giacomo Calvia
Adattamento Sito internet e foto Fabrizio Carta
Adattamento Sito internet e foto Fabrizio Carta