Sotto i mari della Gallura esiste un universo fatto di bellezze naturalistiche di grandissimo fascino ed importanza. Vi portiamo dunque alla scoperta di questo mondo sommerso. Questo articolo è di elevatissima fattura scientifica, si consiglia pertanto il salvataggio e la conservazione per il futuro. Con il proseguo delle spiegazioni scientifiche, vedrai un incremento delle fotografie della vita sottomarina talora molto rare. Si rammenta che CURIOSANDO SARDEGNA è una testata giornalistica scientifica dell'Associazione Gallura da Valorizzare ed un programma televisivo di GALLURA TV. Buona lettura.
SOTTO I MARI DELLA GALLURA
PRIMA PARTE
da Biodiversità, Ex Provincia Olbia Tempio, Egidio Trainito
PRIMA PARTE
da Biodiversità, Ex Provincia Olbia Tempio, Egidio Trainito
Iniziamo con il vedere la cartina dei mari della Gallura, durante la lettura dell'articolo potrà esserti utile ritornare qui sopra per vedere i fondali:
Lungo gli 810 km di costa del territorio della Gallura (480 sull’isola maggiore e 330 nelle isole minori) prevalgono i litorali rocciosi, ma se si supera la battigia e ci si immerge nelle acque antistanti, il panorama cambia drasticamente: infatti, sui fondali sottocosta e ancor più in profondità prevalgono le piane sabbiose. Le emergenze di roccia, anche a fronte delle coste rocciose, degradano rapidamente sulla sabbia e amaggiori profondità appaiono come strutture isolate, spesso di limitata estensione.
È il risultato del poderoso processo di sedimentazione iniziato intorno a 18-20.000 anni fa, quando la risalita del mare al termine dell’ultima glaciazione (Wurm) ha progressivamente ricoperto le terre allora emerse, dall’attuale batimetrica di 120 mfino al livellomedio delmare odierno. L’enorme estesione dei ghiacci aveva causato il ritiro delle acque marine con la scopertura di ampi tratti di fondale, fino a congiungere la Sardegna alla Corsica e il blocco sardo-corso alla costa toscana.
È il risultato del poderoso processo di sedimentazione iniziato intorno a 18-20.000 anni fa, quando la risalita del mare al termine dell’ultima glaciazione (Wurm) ha progressivamente ricoperto le terre allora emerse, dall’attuale batimetrica di 120 mfino al livellomedio delmare odierno. L’enorme estesione dei ghiacci aveva causato il ritiro delle acque marine con la scopertura di ampi tratti di fondale, fino a congiungere la Sardegna alla Corsica e il blocco sardo-corso alla costa toscana.
Questo passato è leggibile anche osservando le attuali batimetriche profonde e constatando che il limite della piattaforma continentale lungo le coste della Gallura si colloca a notevole distanza dal litorale, al quale si avvicina soltanto di fronte alle foci del Coghinas, con la testa del Canyon di Castelsardo (che si inabissa a circa 2,5 km da Isola Rossa), e al largo di Caprera (all’inizio del canyon omonimo), di San Teodoro e di Budoni.
Ancora più esplicito nel raccontare l’evoluzione recente del rapporto mare e terra è il permanere, lungo ampi tratti di litorale, di spiagge fossili (beach rock) a profondità variabili tra 60 m fino in prossimità della superficie. Le beach rock sono formate da arenarie e conglomerati, consolidati dalla precipitazione dei carbonati nella fascia di marea, e rappresentano i cordoni sabbiosi che, nelle diverse fasi della risalita, delimitavano ampi tratti di costa.Hanno forma allungata, spesso rettilinea, formata da blocchi squadrati e fessurati in modo regolare, con un caratteristico abbassamento del lato rivolto verso terra, e spesso con profonde cavità che le separano dal fondale.
Se ne trovano a 60 m, a 40, a 25 e a profondità inferiori, fino a quelle appena sotto il livello attuale del mare, e consentono di tracciare le mappe di com’erano i perimetri costieri nei vari stadi della risalita.
Ancora più esplicito nel raccontare l’evoluzione recente del rapporto mare e terra è il permanere, lungo ampi tratti di litorale, di spiagge fossili (beach rock) a profondità variabili tra 60 m fino in prossimità della superficie. Le beach rock sono formate da arenarie e conglomerati, consolidati dalla precipitazione dei carbonati nella fascia di marea, e rappresentano i cordoni sabbiosi che, nelle diverse fasi della risalita, delimitavano ampi tratti di costa.Hanno forma allungata, spesso rettilinea, formata da blocchi squadrati e fessurati in modo regolare, con un caratteristico abbassamento del lato rivolto verso terra, e spesso con profonde cavità che le separano dal fondale.
Se ne trovano a 60 m, a 40, a 25 e a profondità inferiori, fino a quelle appena sotto il livello attuale del mare, e consentono di tracciare le mappe di com’erano i perimetri costieri nei vari stadi della risalita.
La formazione delle beach rock è legata al fatto che la risalita del mare non fu costante, ma avvenne con accelerazioni e lunghe pause che permisero il processo di consolidamento dei sedimenti che le compongono: il loro permanere è altresì legato alla stabilità tettonica del blocco sardo corso, che non è stato interessato in tutta questa fase da fenomeni sismici.
I rilievi rocciosi sommersi riproducono le forme delle terre emerse, in particolare lungo i litorali granitici: guglie, rilievi arrotondati, ammassi di blocchi che proseguono il profilo costiero sotto il livello del mare o che emergono dalle piane sedimentarie sono forme derivanti dall’erosione in ambiente aereo, quando erano scoperte per il ritiro del mare wurmiano.
Sott’acqua si evidenziano anche le forme dei tafoni, tipiche erosioni di ambiente aereo. Anche le rias, le valli di sommersione marina, proseguono sott’acqua colmate però, già a profondità limitate, dall’accumulo di sedimenti. Al piede delle pareti calcaree di Capo Figari, Figarolo e Tavolara, il fondale è coperto di grandi massi di crollo, risultato dell’erosione sulle rocce soprastanti, ma già a partire dalla profondità di 35 m inizia il pendio sabbioso, che porta alle piane più profonde, interrotto da rare emergenze di roccia.
Sott’acqua si evidenziano anche le forme dei tafoni, tipiche erosioni di ambiente aereo. Anche le rias, le valli di sommersione marina, proseguono sott’acqua colmate però, già a profondità limitate, dall’accumulo di sedimenti. Al piede delle pareti calcaree di Capo Figari, Figarolo e Tavolara, il fondale è coperto di grandi massi di crollo, risultato dell’erosione sulle rocce soprastanti, ma già a partire dalla profondità di 35 m inizia il pendio sabbioso, che porta alle piane più profonde, interrotto da rare emergenze di roccia.
La coltre di sedimenti è il risultato del deposito di limi e sabbie di diversa granulometria trasportate dai corsi d’acqua che sfociano lungo la costa e dall’accumulo dei resti organici di innumerevoli organismi dotati di scheletri, esoscheletri, gusci, tubi e conchiglie. Sono organismi che vivono nella massa d’acqua (planctonici e nectonici) o chemantengono un continuo contatto con il fondo (bentonici) i cui resti, una volta raggiunto il fondo, vengono sminuzzati in continuazione dall’azione di onde e correnti fino a formare le diverse granulometrie di sedimento.
Secondo la dimensione dei granuli i sedimenti vengono chiamati con nomi diversi: così il detrito fa riferimento a depositi grossolani (la cui origine è comprensibile senza l’uso di particolari strumenti), la sabbia di diverse finezze identifica sedimenti più fini, mentre il fango, o limo, indica depositi con dimensione dei granuli inferiore a 63,5micron.
Secondo la dimensione dei granuli i sedimenti vengono chiamati con nomi diversi: così il detrito fa riferimento a depositi grossolani (la cui origine è comprensibile senza l’uso di particolari strumenti), la sabbia di diverse finezze identifica sedimenti più fini, mentre il fango, o limo, indica depositi con dimensione dei granuli inferiore a 63,5micron.
Le distese di sedimenti sono sottoposte a un continuo rimaneggiamento dovuto a onde e correnti e all’azione di un’infinita gamma di organismi che trovano il loro spazio vitale all’interno della coltre sedimentaria: per questo sono chiamati fondi mobili. La mancanza di un fondo stabile rende difficile l’insediamento delle alghe e, sull’apparente deserto, prevale la componente animale: gli invertebrati che occupano lo strato superficiale sono soprattutto cnidari (anemoni e cerianti soprattutto), anellidi (spirografi) ed echinodermi (oloturie).
Molti pesci cercano il cibo sui fondi mobili: alcuni lo setacciano come le triglie, altri si nascondono sotto un sottile strato sabbioso per predare: sono soprattuto tracine, sogliole e rombi. Altre specie utilizzano le zone sabbiose per celarsi ai predatori, come le donzelle che si insabbiano di notte, ma anche pesci di maggiori dimensioni, come mormore o ricciole. Questo schema ha importanti eccezioni, così importanti da determinare la formazione di alcuni tra gli habitat strategici per la biodiversità e per la conservazione.
Molti pesci cercano il cibo sui fondi mobili: alcuni lo setacciano come le triglie, altri si nascondono sotto un sottile strato sabbioso per predare: sono soprattuto tracine, sogliole e rombi. Altre specie utilizzano le zone sabbiose per celarsi ai predatori, come le donzelle che si insabbiano di notte, ma anche pesci di maggiori dimensioni, come mormore o ricciole. Questo schema ha importanti eccezioni, così importanti da determinare la formazione di alcuni tra gli habitat strategici per la biodiversità e per la conservazione.
Sui fondali detritici al di sotto dei 40 m di profondità si insedia un’associazione che ha come organismi strutturanti fondamentali alcune specie di alghe rosse a tallo con elevato contenuto di carbonato di calcio. È il cosiddetto coralligeno di piattaforma, caratterizzato, oltre che dalle alghe, da spugne, gorgonacei, coralli tra i quali anche il corallo rosso, briozoi, policheti, molluschi endobionti, crostacei, come l’aragosta (Palinurus elephas, specie il cui prelievo è regolamentato in base alla Convenzione di Berna), echinodermi, tra i quali Centrostephanus longispinus, specie prioritaria in base agli allegati delle convenzioni di Berna, Barcellona e Habitat.
A profondità inferiori a 40 m, gli ambienti sabbiosi e detritici vengono colonizzati da praterie di fanerogame (piante che producono fiori e frutti) e in second’ordine da alghe verdi del genere Caulerpa. Tra le fanerogame riveste l’importanza fondamentale la posidonia (Posidonia oceanica) che copre ampi tratti di fondale sviluppandosi sia in senso orizzontale, sia verticale e trasformando di fatto la natura del fondo, consolidandolo. Altre fanerogame, come la cimodocea (Cymodocea nodosa), vicariano la posidonia in ambienti di bassa profondità, mentre Caulerpa prolifera si insedia nelle zone di prateria degradate e nelle baie riparate.
A profondità inferiori a 40 m, gli ambienti sabbiosi e detritici vengono colonizzati da praterie di fanerogame (piante che producono fiori e frutti) e in second’ordine da alghe verdi del genere Caulerpa. Tra le fanerogame riveste l’importanza fondamentale la posidonia (Posidonia oceanica) che copre ampi tratti di fondale sviluppandosi sia in senso orizzontale, sia verticale e trasformando di fatto la natura del fondo, consolidandolo. Altre fanerogame, come la cimodocea (Cymodocea nodosa), vicariano la posidonia in ambienti di bassa profondità, mentre Caulerpa prolifera si insedia nelle zone di prateria degradate e nelle baie riparate.
Foreste e praterie sommerse
L'inizio dell'autunno e dell'inverno sono momenti importanti per il mare che lambisce le coste della Provincia. Nelle praterie superficiali in settembre e ottobre, in quelle profonde in gennaio sbocciano i fiori della Posidonia oceanica: è un fenomeno che avviene con discreta regolarità in particolare alle basse profondità, ma in alcune annate assume un’ampia diffusione e il risultato mesi dopo è lo spiaggiamento degli involucri dei semi sulle rive. Posidonia oceanica, Cymodocea nodosa e un altro paio di piante del genere Zostera appartengono al gruppo delle fanerogame: cioè, come molte piante terrestri, hanno radici, fusto, foglie, fiori e frutti.
Sono vegetali molto più complessi delle alghe con cui spesso vengono confusi. Le praterie di posidonia hanno una grandissima importanza per l'equilibrio delle coste e dell'ambiente marino paragonabile a quello delle grandi foreste sulle terre emerse.
Sono vegetali molto più complessi delle alghe con cui spesso vengono confusi. Le praterie di posidonia hanno una grandissima importanza per l'equilibrio delle coste e dell'ambiente marino paragonabile a quello delle grandi foreste sulle terre emerse.
La posidonia è dotata di vere radici e di fusto modificato, detto rizoma: dai rizomi, che possono accrescersi orizzontalmente o verticalmente, spuntano i ciuffi di foglie. Crescendo ricopre ampie zone di fondale sabbioso e detritico e la sua presenza indica generalmente una moderata intensità dei movimenti e una notevole trasparenza delle acque in cui è insediata. Le foglie, che crescono a partire dalla base, possono essere lunghe anche più di un metro: esse funzionano da "trappola" per i sedimenti trasportati dalle onde e dalle correnti. Così, non riuscendo a varcare la barriera delle posidonie, i sedimenti si accumulano assieme ai resti degli organismi che vivono nella prateria. La pianta per evitare di essere seppellita dal continuo accumulo cresce in verticale e forma le matte (insieme dei rizomi e di sedimento in essi intrappolato). La matte può avere un rilievo anche di alcuni metri.
I rizomi subiscono un processo di lignificazione che impedisce la decomposizione anche per centinaia di anni. La posidonia vegeta alla sommità della matte che aumenta in spessore all'incirca di un metro al secolo.
Le piante si possono avvicinare tanto alla superficie che nelle praterie poco profonde le foglie possono emergere dall'acqua con le estremità; in queste condizioni però la crescita delle piante viene rallentata dalle temperature estive troppo elevate.
I rizomi subiscono un processo di lignificazione che impedisce la decomposizione anche per centinaia di anni. La posidonia vegeta alla sommità della matte che aumenta in spessore all'incirca di un metro al secolo.
Le piante si possono avvicinare tanto alla superficie che nelle praterie poco profonde le foglie possono emergere dall'acqua con le estremità; in queste condizioni però la crescita delle piante viene rallentata dalle temperature estive troppo elevate.
Le foglie della posidonia fermano i sedimenti più grossolani, ma lasciano filtrare quelli più fini determinando un infangamento delle zone retrostanti che favorisce l'insediarsi di altre fanerogame più tolleranti, come la Cymodocea.
La prateria di posidonia, in tutta la sua estensione, contribuisce notevolmente a smorzare l'idrodinamismo e a proteggere la costa
dall'erosione.
Le correnti di fondo possono arrestare l'estensione in profondità della prateria consumando ilmargine inferiore della matte. Le correnti scavano dei veri e propri canali nella matte (detti canali di intermatte) che talvolta si unificano. Spesso nei bassi fondali l'avvio di processi di erosione è causato dagli ancoraggi anche di imbarcazioni di piccolo cabotaggio. L'ancora può strappare rizomi e foglie formando un varco dove possono penetrare le correnti che rapidamente determinano l'erosione della matte, interrompendo la continuità della prateria.
La posidonia colonizza anche zone rocciose sfruttando le sacche di sedimento tra i massi e negli avvallamenti, ma in queste condizioni non forma praterie continue, nè si sviluppa in altezza formando la matte, se non in casi molto rari. La prateria di posidonia è un habitat prioritario e racchiude in sé tre ecosistemi: quello corrispondente allo strato fogliare, quello dei rizomi e la matte.
Sulle foglie di posidonia, soprattutto nella parte superiore, è possibile osservare alghe rosse e brune assieme a numerosi briozoi; le esili strutture a forma di piuma degli idrozoi contornano i bordi delle foglie. La presenza di una gran quantità di organismi sessili richiama molti animali che si cibano di essi. Gasteropodi brucano lo strato di alghe e invertebrati microscopici che ricoprono la foglia.Colorati nudibranchi si cibano di spugne, idrozoi e briozoi: essi più che per il nutrimento, che abbonda, gareggiano per la livrea più bella. Nelle praterie vivono anche molti crostacei e tra le foglie simimetizzano i pesci ago: uno di questi, Syngnathus typhle, si confonde perfettamente con le foglie mantenendosi immobile in posizione verticale. Diffusa sullo strato fogliare è una piccola stella di mare, specie protetta in base agli allegati 2-3 della Convenzione di Berna, Asterina panceri.
La prateria di posidonia, in tutta la sua estensione, contribuisce notevolmente a smorzare l'idrodinamismo e a proteggere la costa
dall'erosione.
Le correnti di fondo possono arrestare l'estensione in profondità della prateria consumando ilmargine inferiore della matte. Le correnti scavano dei veri e propri canali nella matte (detti canali di intermatte) che talvolta si unificano. Spesso nei bassi fondali l'avvio di processi di erosione è causato dagli ancoraggi anche di imbarcazioni di piccolo cabotaggio. L'ancora può strappare rizomi e foglie formando un varco dove possono penetrare le correnti che rapidamente determinano l'erosione della matte, interrompendo la continuità della prateria.
La posidonia colonizza anche zone rocciose sfruttando le sacche di sedimento tra i massi e negli avvallamenti, ma in queste condizioni non forma praterie continue, nè si sviluppa in altezza formando la matte, se non in casi molto rari. La prateria di posidonia è un habitat prioritario e racchiude in sé tre ecosistemi: quello corrispondente allo strato fogliare, quello dei rizomi e la matte.
Sulle foglie di posidonia, soprattutto nella parte superiore, è possibile osservare alghe rosse e brune assieme a numerosi briozoi; le esili strutture a forma di piuma degli idrozoi contornano i bordi delle foglie. La presenza di una gran quantità di organismi sessili richiama molti animali che si cibano di essi. Gasteropodi brucano lo strato di alghe e invertebrati microscopici che ricoprono la foglia.Colorati nudibranchi si cibano di spugne, idrozoi e briozoi: essi più che per il nutrimento, che abbonda, gareggiano per la livrea più bella. Nelle praterie vivono anche molti crostacei e tra le foglie simimetizzano i pesci ago: uno di questi, Syngnathus typhle, si confonde perfettamente con le foglie mantenendosi immobile in posizione verticale. Diffusa sullo strato fogliare è una piccola stella di mare, specie protetta in base agli allegati 2-3 della Convenzione di Berna, Asterina panceri.
Nella zona dei rizomi trovano riparo un gran numero di specie che prediligono luce attenuata, come alghe rosse del genere Peyssonellia o le spugne Tethya aurantium e Tethya citrina, entrambe specie protette in base alla Convenzione di Barcellona. Numerosi ricci di mare salgono durante la notte a brucare sulle foglie, mentre restano nascosti di giorno. Tra questi il riccio edule (Paracentrotus lividus) specie il cui prelievo è regolamentato in base alla Convenzione di Barcellona. Un altro echinoderma, il giglio di mare (Antedon mediterranea) si arrampica sulle foglie perché offrono un punto sopraelevato da cui raccogliere il materiale in sospensione di cui si ciba. Durante le ore notturne moltissimi organismi abbandonano l'interno della prateria dirigendosi verso strati d'acqua più superficiali: questa migrazione è dovuta al sensibile abbassamento del tenore di ossigeno nell'acqua che si determina di notte per l'alta densità di organismi animali e vegetali. Gli animali si spostano dunque oltre che per nutrirsi anche per cercare strati piu' ossigenati.
La presenza di un così alto numero di organismi all'interno della prateria è legata al fatto che le piante producono assieme all'ossigeno una gran quantità di sostanza organica che sostiene le catene alimentari.
Infine, uno dei tipici abitatori delle praterie di posidonia è la nacchera (Pinna nobilis), il più grande bivalve del Mediterraneo. I continui prelievi e tecniche di pesca proibite ne hanno diminuito notevolmente la presenza, che sembra attualmente in ripresa essendo la specie protetta in base alla convenzioni di Berna, Habitat e Barcellona.
La presenza di un così alto numero di organismi all'interno della prateria è legata al fatto che le piante producono assieme all'ossigeno una gran quantità di sostanza organica che sostiene le catene alimentari.
Infine, uno dei tipici abitatori delle praterie di posidonia è la nacchera (Pinna nobilis), il più grande bivalve del Mediterraneo. I continui prelievi e tecniche di pesca proibite ne hanno diminuito notevolmente la presenza, che sembra attualmente in ripresa essendo la specie protetta in base alla convenzioni di Berna, Habitat e Barcellona.
Lungo le coste della Provincia la posidonia è insediata prevalentemente su fondi rocciosi nel tratto costiero tra la Foce del Coghinas e Capo Testa,mentre lungo il versante orientale prevalgono le praterie insediate su detrito e su matte: si tratta di una distribuzione da addebitare principalmente all’elevato idrodinamismo che interessa la costa occidentale, dove i fondi mobili sono costantemente movimentati dalle onde e dalle correnti, sotto la spinta dei venti da ponente. La copertura di posidonia in tutto il perimetro si presenta discontinua e condizioni di degrado si alternano ad aree dove il posidonieto gode di ottima salute. Il limite inferiore della prateria difficilmente supera i 35 m di profondità attestandosi prevalentemente attorno ai 30. Sui fondi rocciosi si articola un mosaico di diverse associazioni, dove più che l’idrodinamismo il fattore fondamentale di condizionamento è la luce. Sulle rocce granitiche e calcaree ben esposte è insediata la biocenosi della alghe fotofile che assume l’aspetto di un feltro uniforme formato principalmente da alghe brune: nelle zone a maggiore insolazione si formano distese di ombrellini di mare (Acetabularia acetabulum) dove la sedimentazione è elevata o altrimenti di code di pavone (Padina pavonica). Tipica dei fondi granitici ben illuminati è la spugna verongia (Aplysina aerophoba), specie protetta in base alla Convenzione di Barcellona.
Sul calcare alla componente che copre la roccia si aggiunge un’importante fauna che scava nella roccia più tenera e trova spazi che non esistono sulla roccia granitica: si trovano così la varie specie di spugna del genere Cliona e numerose specie di molluschi che vivono nella roccia, primi tra tutti i datteri di mare (Lithophaga lithophaga), specie particolarmente protetta in base alle convenzioni di Berna, Barcellona e alle Direttive Habitat. Sul feltro di alghe interviene l’azione dei brucatori: sono due specie di ricci principalmente, il riccio edule e il riccio nero. Il primo bruca le alghe a tallo molle, mentre il secondo interviene sulle alghe a tallo calcareo che vivono in sottostrato e, quando la popolazione è particolarmente florida, la sua azione porta a nudo la roccia. Il monitoraggio delle popolazioni di ricci consente di ottenere informazioni importanti sulla qualità dell’ecosistema e sullo stato di conservazione del riccio edule (Paracentrotus lividus, specie il cui prelievo è regolamentato, in base alla Convenzione di Barcellona).
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Le concrezioni racchiudono spesso ambienti di grotta, raccordano tra loro le emergenze di granito e formano pareti con un’elevata articolazione del substrato. Situazioni similari, ma di dimensioni meno importanti si rinvengono anche al piede delle falesie calcaree di Capo Figari e Tavolara, dove è abbondante anche un ambiente di transizione, chiamato precoralligeno, nel quale la componente algale è arricchita da alcune specie sciafile di alghe verdi, come Halimeda tuna e Flabellia petiolata.
Mentre il corallo rosso è l’animale che caratterizza il coralligeno della costa orientale, sull’altro versante sono le paramuricee (Paramuricea clavata) a fornire l’aspetto scenografico più appariscente. A Santa Teresa, a Mortoriotto e sulle secche nel canale tra Tavolara e Molara si riviene un altro animale caratteristico degli ambienti coralligeni, il falso corallo nero. Nelle prime due località sono insediate numerose colonie a profondità intorno a 35 m, relativamente poco profonda per la specie, mentre a Tavolara le si rinviene a quote superiori a 45 m. Il falso corallo nero (Savalia savaglia) è una specie protetta in base alle convenzioni di Berna e Barcellona.
Va segnalata in ambiente detritico tra i massi al piede della falesia a circa 30 m di profondità la presenza a Capo Figari dell’unica colonia di Leptogorgia sarmentosa conosciuta per la Sardegna: si tratta di un gorgonaceo tipico di ambienti ad elevata sedimentazione, caratterizzato dalla distribuzione laterale dei polipi rispetto all’asse scheletrico.
Risalendo dalle profondità al livello del mare, anche nella fascia di marea si insediano associazioni e organismi di notevole rilevanza che spesso indicano la qualità dell’ambiente.
Mentre il corallo rosso è l’animale che caratterizza il coralligeno della costa orientale, sull’altro versante sono le paramuricee (Paramuricea clavata) a fornire l’aspetto scenografico più appariscente. A Santa Teresa, a Mortoriotto e sulle secche nel canale tra Tavolara e Molara si riviene un altro animale caratteristico degli ambienti coralligeni, il falso corallo nero. Nelle prime due località sono insediate numerose colonie a profondità intorno a 35 m, relativamente poco profonda per la specie, mentre a Tavolara le si rinviene a quote superiori a 45 m. Il falso corallo nero (Savalia savaglia) è una specie protetta in base alle convenzioni di Berna e Barcellona.
Va segnalata in ambiente detritico tra i massi al piede della falesia a circa 30 m di profondità la presenza a Capo Figari dell’unica colonia di Leptogorgia sarmentosa conosciuta per la Sardegna: si tratta di un gorgonaceo tipico di ambienti ad elevata sedimentazione, caratterizzato dalla distribuzione laterale dei polipi rispetto all’asse scheletrico.
Risalendo dalle profondità al livello del mare, anche nella fascia di marea si insediano associazioni e organismi di notevole rilevanza che spesso indicano la qualità dell’ambiente.
Degna di nota è la la patella gigante (Patella ferruginea) che vive sulle rocce appena sopra il livello medio del mare sia su substrati granitici, dove è più comune, sia su calcare. Molto sensibile alla qualità dell’acqua, in molte zone è in rarefazione anche a causa del prelievo diretto da parte dell’uomo.
Tra i pesci cartilaginei la specie pelagica più osservata è lo squalo elefante (Cetorhinus maximus): si tratta di un animale
che può raggiungere 12 m di lunghezza e che si ciba di plancton filtrandolo attraverso le branchie. Naviga in superficie
con la pinna dorsale e il lobo superiore della caudale fuori dall’acqua e, tenendo la bocca aperta, intercetta il plancton. Le osservazioni di questa specie (comunque rare) si distribuiscono prevalentemente tra le fine dell’inverno e l’inizio della primavera e la maggiore frequenza si osserva lungo la costa orientale della Provincia. È una specie protetta in base alle convenzioni di Berna e Barcellona, ma non sono infrequenti le catture accidentali in reti da posta. Sono in marcato aumento le segnalazioni di mobula (Mobula mobular), altro pesce cartilagineo altrettanto protetto, affine alle mante, che si ciba di plancton.
che può raggiungere 12 m di lunghezza e che si ciba di plancton filtrandolo attraverso le branchie. Naviga in superficie
con la pinna dorsale e il lobo superiore della caudale fuori dall’acqua e, tenendo la bocca aperta, intercetta il plancton. Le osservazioni di questa specie (comunque rare) si distribuiscono prevalentemente tra le fine dell’inverno e l’inizio della primavera e la maggiore frequenza si osserva lungo la costa orientale della Provincia. È una specie protetta in base alle convenzioni di Berna e Barcellona, ma non sono infrequenti le catture accidentali in reti da posta. Sono in marcato aumento le segnalazioni di mobula (Mobula mobular), altro pesce cartilagineo altrettanto protetto, affine alle mante, che si ciba di plancton.
Tra i pesci ossei è stagionalmente diffuso il tonno (Thunnus thynnus) che viene anche pescato con tonnare volanti o con attrezzi per la pesca d’altura. Protetto in base alla Convenzione di Barcellona, il suo prelievo è regolamentato: è fortemente minacciato di estinzione per l’indiscriminato prelievo che avviene in mare aperto, al di fuori delle regole di contingentamento.
Altre specie di pesci protetti non hanno abitudini pelagiche, ma sono legate agli ambienti rocciosi come la cernia (Epinephelus marginatus), comune e diffusa da poca profondità fino agli ambienti di coralligeno profondi, oppure la corvina che, oltre al posidonieto, è diffusa in tutti gli ambienti rocciosi. Entrambe sono specie il cui prelievo è regolamentato (in base alla convenzione di Barcellona e per la seconda anche a quella di Berna) e godono di una condizione favorevole nelle aree protette, dove il loro numero sta aumentando in modo vistoso.
Ancora più sedentarie e sempre più rare sono le due specie di cavalluccio marino (Hippocampus guttulatus e H.hippocampus): si conoscono poche località dove singoli esemplari o piccoli gruppi rimangono per lunghi periodi, in genere in ambienti riparati e scarsamente illuminati, e una di queste è nei fondali di Costa Paradiso.
Sono più rare le osservazioni in ambienti di alghe fotofile o detritici. Lungo le coste della Provincia sono sempre più numerosi gli avvistamenti di tartarughe marine anche in periodo invernale: si tratta generalmente di Caretta caretta, la specie più comune in Mediterraneo, che sia in passato sia di recente ha nidificato in varie località della Sardegna e, in base a diverse testimonianze, può aver nidificato negli anni ‘90 del secolo scorso su una spiaggia tra S.Teodoro e Budoni. Più rari,ma con una certa continuità sono gli avvistamenti di tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), specie di grandi dimensioni che frequenta il Mediterraneo,ma non si riproduce lungo le sue coste.
Ancora più sedentarie e sempre più rare sono le due specie di cavalluccio marino (Hippocampus guttulatus e H.hippocampus): si conoscono poche località dove singoli esemplari o piccoli gruppi rimangono per lunghi periodi, in genere in ambienti riparati e scarsamente illuminati, e una di queste è nei fondali di Costa Paradiso.
Sono più rare le osservazioni in ambienti di alghe fotofile o detritici. Lungo le coste della Provincia sono sempre più numerosi gli avvistamenti di tartarughe marine anche in periodo invernale: si tratta generalmente di Caretta caretta, la specie più comune in Mediterraneo, che sia in passato sia di recente ha nidificato in varie località della Sardegna e, in base a diverse testimonianze, può aver nidificato negli anni ‘90 del secolo scorso su una spiaggia tra S.Teodoro e Budoni. Più rari,ma con una certa continuità sono gli avvistamenti di tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), specie di grandi dimensioni che frequenta il Mediterraneo,ma non si riproduce lungo le sue coste.
Nei prossimi giorni seguirà un secondo articolo dedicato ai CETACEI DELLA GALLURA
Credits
L'articolo è tratto da Biodiversità, progetto della ex Provincia Olbia Tempio, a cura del grande Egidio Trainito
FOTO: Biodiversità
Per errori, segnalazioni e richieste curiosandosardegna@galluradavalorizzare.com
L'articolo è tratto da Biodiversità, progetto della ex Provincia Olbia Tempio, a cura del grande Egidio Trainito
FOTO: Biodiversità
Per errori, segnalazioni e richieste curiosandosardegna@galluradavalorizzare.com