Il dipinto di Carlo Alberto di Savoia-Carignano, Re di Sardegna Relazione del Prof. Luigi AGUS
SCHEDA TECNICA Autore: Giovanni Marghinotti (Cagliari 1798-1865) Dimensioni: 150x250 (circa) Tecnica: Olio su tela Soggetto: Carlo Alberto di Savoia-Carignano, Re di Sardegna Data: 1842 Firme o iscrizioni: in basso a sinistra “Marghinotti F[ecit] 1842” Proprietà: Comune di Tempio Pausania Attuale collocazione: Sala d’Onore del Municipio
DESCRIZIONE E NOTE STORICO-ARTISTICHE SULL’OPERA
Il dipinto ritrae il sovrano del Regno di Sardegna in piedi con la mano destra sollevata reggente uno scettro, la sinistra sul fianco, la gamba destra leggermente portata in avanti e lo sguardo rivolto nel vuoto (fig. 1). Il re è abbigliato con una camicia in raso bianca con colletto sollevato bordato in oro e fazzoletto ricamato, calzamaglia aderente sulle gambe, braghe a liste verticali in seta bianca guarnite sui bordi in oro, fascia sulla vita in raso rosso, fascia trasversale azzurra sul petto annodata con un fiocco sul fianco sinistro dove trova posto uno spadino dal manico dorato e calzari in raso bianco con fiocco sul dorso. Sulle spalle porta un mantello rosso con risvolto di pelliccia bianca, scapolare in ermellino e collare con pendente dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, massima onorificenza di Casa Savoia. Sulla destra della figura è sistemato un tavolino coperto con un drappo in velluto verde bordato a frangia dorata cadente fino a terra, recante sopra un cuscino di raso azzurro con bordo dorato su cui poggia una corona d’oro ornata di rubini e smeraldi con punte alternate a gigli da cui si dipartono gli archetti – ornati di perle – terminanti in un globo dorato con croce mauriziana. Lo sfondo è caratterizzato da un pesante drappo azzurro svolazzante che nasconde parzialmente due colonne con basamento a toro, mentre sulla sinistra si scorge un paesaggio con una montagna che domina una città (Tempio?) con un cielo parzialmente nuvoloso. In basso a sinistra del riguardante è presente la firma dell’autore Giovanni Marghinotti, seguita da una “f” minuscola puntata (per “fecit”) e la data 1842 (fig. 7). Il dipinto tempiese è replica abbastanza fedele del ritratto del medesimo sovrano conservato nel Municipio di Sassari (ivi, Palazzo Ducale), firmato sempre da Giovanni Marghinotti e datato 1841 (fig. 3). I due fanno parte di una serie di ritratti realizzati dal pittore cagliaritano a partire dal 1833, quando fu accolto alla corte di Torino entusiasticamente dallo stesso sovrano, che posò personalmente davanti all’artista, per un ritratto richiesto dai consiglieri di Cagliari (fig. 4). Oltre le opere di Cagliari, Sassari e Tempio, Marghinotti realizzò un’altra replica nel 1837 per il Municipio di Iglesias, una nel 1840 per quello di Alghero e un’altra per quello di Ozieri (1840-42 circa). L’opera tempiese si colloca, con quella di Ozieri, nelle committenze comunali delle tre nuove città sarde (Tempio, Ozieri e Nuoro) erette come tali proprio da Carlo Alberto con decreto del 10 settembre 1836, mentre la scelta del pittore cagliaritano, da parte dall’Amministrazione Comunale, fu fatta guardando il dipinto sassarese, che – come già detto – costituisce il prototipo per quello tempiese.
Conosciamo L’AUTORE Giovanni Marghinotti nacque a Cagliari il 7 gennaio 1798 dal trapanese Vincenzo e dalla sarda Giuseppina Serra. Nel 1822, grazie alla protezione del marchese di Villahermosa, frequentò l’Accademia di San Luca a Roma come allievo di Camuccini e Landi, i quali lo indirizzarono verso i precetti neoclassici sanciti da Winckelmann e Mengs. Importanti per la sua formazione romana furono Ingres, che soggiornò nella città eterna dal 1806 al 1820, e Corot che conobbe personalmente tra il 1825 e il 1828, stimolando in lui l’attenzione per il paesaggio e i colori liquidi. Un contributo notevole lo ebbe anche Wicar che indirizzò il pittore cagliaritano verso i paesaggisti fiamminghi. Al soggiorno romano seguì quello torinese, quando nel 1829 eseguì il ritratto di Carlo Felice, il quale acconsentì che venisse realizzata una replica per il Palazzo Regio di Cagliari. Tuttavia la notorietà la raggiunse nel 1830 con la realizzazione della grande tela raffigurante Carlo Felice protettore delle belle arti in Sardegna (Cagliari, Palazzo Civico), al quale seguirono i ritratti di corte del successore di Carlo Felice – Carlo Alberto – a partire dal 1833. Rientrato a Cagliari nel 1837 ebbe numerose commesse di ritratti dalla nobiltà e dall’alto clero sardi, così come gli furono commissionate diverse tele per molte chiese dell’isola (Chiesa di S. Antonio Abate, Duomo e S. Caterina a Sassari tra le tante). Nel 1842, anno in cui dipinse il ritratto tempiese, espose presso la sua bottega tre opere: un’Addolorata, una ritraente un Rigattiere e un’altra una Panattara di Cagliari, queste ultime due custodite presso la Pinacoteca Mus’A di Sassari (depositi). Iniziava per lui un interesse, forse del tutto personale, per l’etnografia e la pittura realista, proprio all’indomani della nascita (1840) del movimento in Francia. Nel 1842 fu nominato socio onorario dell’Accademia Albertina di Torino e nel 1844 Virtuoso di merito al Pantheon di Roma. Un anno dopo fu nuovamente a Torino dove – su committenza – realizzò diversi ritratti, pale d’altare (due recentemente ritrovate sono custodite presso la chiesa di S. Maurizio a Bourg St. Maurice in Savoia) e dipinti sulla storia del casato sabaudo, divenendo – nel 1846 – pittore di Camera del Re di Sardegna e poi insegnante di disegno all’Albertina. Tra il 1852 e il 1854 si spostò in Spagna presso la corte madrilena, dove il re lo accolse come pittore regio dopo la morte di Goya avvenuta una ventina d’anni prima, conferendogli – l’8 febbraio 1854 – il titolo di Cavaliere dell’Ordine di Carlo III. In quell’occasione ebbe modo di conoscere le opere del grande artista spagnolo, soprattutto i cartoni per l’arazzeria di Santa Barbara, dai quali – si ritiene – siano derivate le grandi tele di carattere etnografico raffiguranti una Festa campestre in Sardegna e la Partenza per la festa, datate rispettivamente 1861 e 1862 (Sassari, Pinacoteca Mus’A, depositi). Rientrato a Torino, Vittorio Emanuele II gli conferì la Croce al merito dell’Ordine Mauriziano nel 1856, data nella quale lasciò l’insegnamento all’Albertina tornando definitivamente a Cagliari per dedicarsi esclusivamente alla pittura presso la sua bottega alla Marina. Morì nella capitale sarda il 15 gennaio 1865. L’opera di Marghinotti è segnata – lungo tutto il suo lungo iter evolutivo – dall’ecletticità cromatica e compositiva. Egli, infatti, pur rimanendo fedele al classicismo di Ingres e Camuccini e al romanticismo di Hayez, riesce a stemperarlo sia attraverso il cromatismo veneto settecentesco di Tiepolo, sia con la tecnica paesaggistica fiamminga – appresa da Wicar a Roma – sia, infine, con tematiche totalmente estranee alla tradizione classicista e romantica, come dimostra l’attenzione verso l’etnografia, che trova un suo parallelo nello scrittore cagliaritano, di poco postumo, Carlo Brundo che esordì proprio con una Raccolta di tradizioni sarde nel 1869. Un filone, forse tratto dall’osservazione della pittura di Goya, che Marghinotti inaugura e che nell’isola avrà un enorme successo, trovando nella seconda metà del secolo interpreti come il piemontese Giovanni Battista Quadrone, mentre nel Novecento – tra i tanti – lo spagnolo Héctor Nava e i sardi Giuseppe Biasi, Antonio Ballero, Felice Melis Marini, Carmelo Floris, Mario Delitala, Giovanni Ciusa Romagna e Filippo Figari.
STATO DI CONSERVAZIONE Lo stato di conservazione della tela tempiese è mediocre (fig. 1), anche se la sua collocazione all’interno di una sala ben illuminata da luce naturale sembra buona, così come non si rilevano grossi traumi da spostamento o ricollocazione, vista la storia dell’opera. Il dipinto fu, infatti, eseguito per il municipio cittadino nel 1842 e collocato nell’attuale salone certamente dopo la costruzione del nuovo palazzo civico, realizzato nel 1863 al posto del demolito monastero delle Cappuccine con annessa chiesa del Bimbo Perduto. Come tutte le opere è necessario accudirle e proteggerle per il futuro attraverso l'adozione di precauzioni che ne permettano il mantenimento e la valorizzazione. Dopo tanti anni, infatti, un'opera può apparire piena di "pericoli".
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