LA CHIESA PARROCHIALE DI SANTA GIUSTA - CALANGIANUS
A cura di PhD prof Luigi Agus, storico dell'arte, Accademia di Belle Arti di Palermo
Con la sua mole in granito la parrocchia di Santa Giusta a Calangianus domina da un’altura il centro gallurese, formando un unico complesso con gli oratori di Santa Croce, a sinistra, e del Rosario a destra. Il prospetto principale è chiuso in alto da una cimasa a doppio inflesso con in basso un portale lunettato, sormontato da un finestrone centinato. Sul lato sinistro verso il presbiterio si erge la torre campanaria che porta incisa la data 1646 sull’architrave della finestra settentrionale. L’interno è a navata unica divisa in cinque campate da paraste sui lati e coperta da una volta a botte unghiata, rinforzata da sotto archi in prolungamento delle paraste. Sulle tre campate centrali si aprono altrettante cappelle per lato voltate a botte, mentre la prima verso l’ingresso è sormontata da una cantoria. Chiude l’aula il presbiterio quadrangolare voltato a botte.
Pur essendo certamente più antica, le prime notizie relative alla parrocchia risalgono al 1596, quando il pittore Andrea Lusso fu incaricato dal vescovo Giovanni Sanna di dipingere la pala d’altare, oggi custodita presso l’Oratorio di Santa Croce. La primitiva chiesa subì interventi di restauro abbastanza importanti tra il 1686 e il 1687, quando l’attiguo Oratorio di Santa Croce fu utilizzato come parrocchia. Precedenti sono invece i registri della Cappella della Luminaria (SS. Sacramento), che fu arredata con un retablo, oggi perduto, tra il 1682 e il 1690; due balaustre nel 1702 e un organo nel 1716. Nel 1738 – forse a seguito di ampliamenti e lavori del frabricador fra Bonaventura da Ozieri – la parrocchiale fu consacrata solennemente dal vescovo Vincenzo Giovanni Vico Torellas.
Pur essendo certamente più antica, le prime notizie relative alla parrocchia risalgono al 1596, quando il pittore Andrea Lusso fu incaricato dal vescovo Giovanni Sanna di dipingere la pala d’altare, oggi custodita presso l’Oratorio di Santa Croce. La primitiva chiesa subì interventi di restauro abbastanza importanti tra il 1686 e il 1687, quando l’attiguo Oratorio di Santa Croce fu utilizzato come parrocchia. Precedenti sono invece i registri della Cappella della Luminaria (SS. Sacramento), che fu arredata con un retablo, oggi perduto, tra il 1682 e il 1690; due balaustre nel 1702 e un organo nel 1716. Nel 1738 – forse a seguito di ampliamenti e lavori del frabricador fra Bonaventura da Ozieri – la parrocchiale fu consacrata solennemente dal vescovo Vincenzo Giovanni Vico Torellas.
Altri lavori sono documentati nel 1753, quando venne rifatto il retablo della Cappella della Luminaria dai maestri Francesco Carta e Antonio Mundula Miriganu di Sassari e nel 1763, quando venne coperta a botte la navata dividendola in tre campate e rifatto il pavimento. Nel XIX secolo, dopo diversi parziali restauri e numerose sollecitazioni, i fondi per il ripristino della chiesa giunsero nel 1895, soprattutto per interessamento di Padre Bonaventura da Calangianus. Nel 1883 i fratelli Clemente di Sassari realizzarono lo splendido coro ligneo ancora oggi sistemato dietro l’altare; qualche anno dopo il pittore milanese Antonio Dovera fu incaricato di realizzare il ciclo di affreschi delle volte e quello del presbiterio; mentre allo scultore sassarese Lorenzo Caprino, allievo di Ercole Rosa, fu dato incarico di scolpire l’altare maggiore, la balaustra ornata da due leoni, il pulpito in marmo sormontato dal paravoce ligneo e il battistero, consacrati dal vescovo di Ampurias e Tempio Antonio Maria Contini nel 1901. Tra il 1964 e il 1965, infine, il tempio fu ampliato con l’aggiunta di una campata spostando la facciata in avanti, furono smontati tutti gli altari laterali – ancora presenti nelle cappelle all’inizio del Novecento – e aperti dei varchi di comunicazione tra le cappelle, dando così all’edificio l’attuale aspetto.
Il pregevole apparato decorativo della parrocchiale calangianese, pur rifacendosi in tono minore alla temperie ottocentesca dei grandi cicli celebrativi di Aldi, Maccari, Brugnoli, Bruschi o Franchi e utilizzando repertori accademici ormai cristallizzati come la marattesca Assunzione della Vergine, presenta spunti interessanti e di rottura che aprono verso l’Art Nouveau (o Liberty), come l’idea dei tre putti che emergono attorniati da rose e fiori dal tondo raffigurante San Paolo, affrescati sulla seconda campata partendo dall’altare, o i cori angelici del presbiterio che richiamano analoghe soluzioni lombarde di Scrosati e Bertini. Innovazioni importanti, che fanno di questo ciclo di dipinti uniti alla scultura di Caprino e gli arredi dei Clemente, un interessante insieme omogeneo perfettamente aggiornato al gusto dell’epoca
Tratto da Gallura e Anglona