L'ORATORIO DEL PURGATORIO - TEMPIO PAUSANIA
A cura di PhD prof Luigi Agus, storico dell'arte, Accademia di Belle Arti di Palermo.
Nel pieno centro storico di Tempio Pausania, tra le suggestive palazzine in granito a vista, si erge l’oratorio dedicato alle anime purganti.
Il piccolo edificio è ad aula unica divisa in due campate da un arco ogivale in granito, che sostiene le due falde del tetto rette da travicelli a vista sistemati in linea con l’edificio stesso. La navata si conclude con una cappella presbiteriale voltata a botte, illuminata da due finestre lunettate sistemate subito sotto l’imposta. Oltre l’altare maggiore, la chiesa è dotata di due altaroli a edicola sistemati sulle pareti destra e sinistra della seconda campata.
La facciata, molto semplice, è chiusa in alto da un campanile a vela impostato sul colmo degli spioventi del tetto a capanna. Al centro è il portale sormontato da un architrave che riporta la data di ultimazione dell’edificio (1679). In linea con questo si apre un finestrone centinato che illumina l’interno.
Secondo una non verificata leggenda, l’erezione dell’Oratorio si deve al potente Giacomo Misorro che nel 1670, nello stesso luogo, uccise a sangue freddo durante la notte diciotto dei suoi nemici sorpresi in un agguato.
Successivamente, recatosi a Roma per il Giubileo indetto da Clemente X nel 1675, si pentì dei delitti compiuti e rientrato in patria costruì la chiesetta alla periferia di Tempio entro il 1679, data che, come già detto, compare sull’architrave del portale. In effetti dalle ricerche effettuate da Giuseppe Mele relative alla famiglia Misorro non risulta alcun Giacomo vissuto alla fine del XVII secolo, quanto piuttosto un Gavino Misorro morto il 9 settembre 1706.
Di fatto, il Jaime del quale Salis trovò l’atto di morte, risulta defunto il 4 giugno 1748, data certamente incompatibile con le vicende narrate nella leggenda ambientata attorno al 1670, ma soprattutto con il 1679 inciso sull’architrave del portale. Il committente quindi della chiesa del Purgatorio di Tempio sarebbe stato “il più grande degli allevatori tempiesi” Gavino Misorro, convocato al Parlamento Solís Valderrábano il 10 gennaio 1698. Anche le iniziali GM incise sull’acquasantiera marmorea posta a destra dell’ingresso porterebbero a questa conclusione, visto che Giacomo Misorro è sempre menzionato come Jaime (in catalano), quindi l’iniziale G sarebbe da attribuire a Gavino e non certamente a Giacomo. Legata strettamente allo stesso Gavino e al suo viaggio a Roma per il Giubileo del 1675 è la grande e preziosa pala d’altare che presiede il presbiterio. La tela, di eccellente fattura, è infatti facilmente identificabile con quella descritta nella visita pastorale del vescovo Salvatore Angelo Cadello Cugia, effettuata il 27 gennaio 1746, come “un quadro grande de 14 palmos con la effigie del Salvador, la Virgen y las almas de Purgatorio, pintura romana”. Il dipinto rappresenta in alto a sinistra la Vergine tra le nuvole che si rivolge a Cristo, rappresentato a destra mentre alza il braccio come per giudicare. Subito sotto è l’Arcangelo Michele mentre plana verso tre anime purganti, dietro le quali stanno altre in secondo piano. La pala rappresenta un unicum in Sardegna e va inserita all’interno delle commissioni di dipinti a Roma alla fine del XVII secolo da parte di nobili sardi, soprattutto verso la cerchia di Maratti e dei pittori marchigiani attivi nella Città Eterna attorno alla figura dell’urbinate Giovanni Francesco Albani, prima referendario del Tribunale della Segnatura Apostolica (1676-89), poi prelato domestico di Sua Santità (1677), vicario di San Pietro (1687), cardinale (1690) e quindi papa col nome di Clemente XI (1700-21). L’opera infatti è da attribuire al celebre pittore marchigiano Giuseppe Ghezzi (Comunanza 1634-Roma 1721) ed è l’unica sua presente nell’Isola, una delle poche al mondo fuori da Roma e dalle Marche e tra queste sicuramente la più importante per dimensioni e per fattura.
Luigi Agus
Il piccolo edificio è ad aula unica divisa in due campate da un arco ogivale in granito, che sostiene le due falde del tetto rette da travicelli a vista sistemati in linea con l’edificio stesso. La navata si conclude con una cappella presbiteriale voltata a botte, illuminata da due finestre lunettate sistemate subito sotto l’imposta. Oltre l’altare maggiore, la chiesa è dotata di due altaroli a edicola sistemati sulle pareti destra e sinistra della seconda campata.
La facciata, molto semplice, è chiusa in alto da un campanile a vela impostato sul colmo degli spioventi del tetto a capanna. Al centro è il portale sormontato da un architrave che riporta la data di ultimazione dell’edificio (1679). In linea con questo si apre un finestrone centinato che illumina l’interno.
Secondo una non verificata leggenda, l’erezione dell’Oratorio si deve al potente Giacomo Misorro che nel 1670, nello stesso luogo, uccise a sangue freddo durante la notte diciotto dei suoi nemici sorpresi in un agguato.
Successivamente, recatosi a Roma per il Giubileo indetto da Clemente X nel 1675, si pentì dei delitti compiuti e rientrato in patria costruì la chiesetta alla periferia di Tempio entro il 1679, data che, come già detto, compare sull’architrave del portale. In effetti dalle ricerche effettuate da Giuseppe Mele relative alla famiglia Misorro non risulta alcun Giacomo vissuto alla fine del XVII secolo, quanto piuttosto un Gavino Misorro morto il 9 settembre 1706.
Di fatto, il Jaime del quale Salis trovò l’atto di morte, risulta defunto il 4 giugno 1748, data certamente incompatibile con le vicende narrate nella leggenda ambientata attorno al 1670, ma soprattutto con il 1679 inciso sull’architrave del portale. Il committente quindi della chiesa del Purgatorio di Tempio sarebbe stato “il più grande degli allevatori tempiesi” Gavino Misorro, convocato al Parlamento Solís Valderrábano il 10 gennaio 1698. Anche le iniziali GM incise sull’acquasantiera marmorea posta a destra dell’ingresso porterebbero a questa conclusione, visto che Giacomo Misorro è sempre menzionato come Jaime (in catalano), quindi l’iniziale G sarebbe da attribuire a Gavino e non certamente a Giacomo. Legata strettamente allo stesso Gavino e al suo viaggio a Roma per il Giubileo del 1675 è la grande e preziosa pala d’altare che presiede il presbiterio. La tela, di eccellente fattura, è infatti facilmente identificabile con quella descritta nella visita pastorale del vescovo Salvatore Angelo Cadello Cugia, effettuata il 27 gennaio 1746, come “un quadro grande de 14 palmos con la effigie del Salvador, la Virgen y las almas de Purgatorio, pintura romana”. Il dipinto rappresenta in alto a sinistra la Vergine tra le nuvole che si rivolge a Cristo, rappresentato a destra mentre alza il braccio come per giudicare. Subito sotto è l’Arcangelo Michele mentre plana verso tre anime purganti, dietro le quali stanno altre in secondo piano. La pala rappresenta un unicum in Sardegna e va inserita all’interno delle commissioni di dipinti a Roma alla fine del XVII secolo da parte di nobili sardi, soprattutto verso la cerchia di Maratti e dei pittori marchigiani attivi nella Città Eterna attorno alla figura dell’urbinate Giovanni Francesco Albani, prima referendario del Tribunale della Segnatura Apostolica (1676-89), poi prelato domestico di Sua Santità (1677), vicario di San Pietro (1687), cardinale (1690) e quindi papa col nome di Clemente XI (1700-21). L’opera infatti è da attribuire al celebre pittore marchigiano Giuseppe Ghezzi (Comunanza 1634-Roma 1721) ed è l’unica sua presente nell’Isola, una delle poche al mondo fuori da Roma e dalle Marche e tra queste sicuramente la più importante per dimensioni e per fattura.
Luigi Agus
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Tratto da Gallura e Anglona - 02/02/17